Sentenze
relative a pirateria aziendale
Sentenza
del Tribunale di Torino 13 luglio 2000
(prima dell'approvazione della Legge 18 agosto 2000, n. 248)
(L'uso personale non è reato)
1. Con decreto ex
articolo 555 cpp (vecchia formulazione), notificato in data 2 dicembre
'99, Tizio veniva citato in giudizio per i reati di cui in epigrafe.
All'udienza della 1342000, il pubblico ministero produceva documentazione
proveniente dalla Business Software Alliance riguardante l'assenza, in
capo a Tizio, di licenze software; suo accordo delle parti, ex articolo
555 cpp (nuova formulazione), veniva acquisita l'annotazione firma di
Todesco Gianfranco, in forza alla polizia giudiziaria presso la locale
procura. Dalla detta annotazione emergeva che l'indagine era scaturita
da informazioni confidenziali ricevute dalla polizia giudiziaria.
Lo stesso Todesco, esaminato come teste per fornire chiarimenti, precisava
che la duplicazione del software è un'operazione semplice, per
la quale è sufficiente possedere soltanto alcune cognizioni di
base e che la "Business Software Alliance" è una sorta
di agenzia internazionale contro la pirateria informatica presso cui è
possibile verificare i nominativi delle persone che legalmente detengono
software.
Veniva poi esaminato il consulente tecnico del pubblico ministero, ingegner
Vinardi Mario, il quale riferiva di avere analizzato il materiale sequestrato
presso l'abitazione del prevenuto rete, in particolare, tre hard disk
e (di cui uno vecchio uno recente e uno all'avanguardia), 53 CD-ROM masterizzati
e 638 floppy disk ; che il Campiello aveva tre canali di accesso alla
rete informatica Internet; che ne detti supporti era contenuto software
di varia natura (fra cui applicazioni grafiche, per traduzioni, per dettatura
vocale e molti giochi); che, in particolare, i giochi hanno obsolescenza
rapidissima e che "sono anche disponibili con le riviste in edicola"
(pag. 21 della trascrizione); che la valutazione complessiva del software
in questione è di circa lire 50 milioni e non di lire 76 milioni
come erroneamente indicato nella relazione scritta (e riportato nel capo
di imputazione subito a).
Il consulente ribadiva le conclusioni contenute nella sua relazione scritta,
compresa quella di cui al punto 5, per la quale "...... non erano
emersi elementi oggettivi in grado di indicare l'indagato per i quali
obbligatorie/scopritore di software, né al contrario quale nero
acquirente di software da altri duplicato e/os protetto"; precisava,
inoltre: "quando intendo scopritore di software significa che io
non ho rinvenuto del software atto a rimuovere protezioni da altri programmi"
(pag. 22 della trascrizione).
Il consulente può riferiva che almeno una parte del software in
questione verificato che solo per due programmi erano state rinvenute
più copie. Al termine dell'esame veniva acquisita la relazione
scritta del consulente.
Venivano poi esaminato i testi della Difesa Primo, Secondo e Terzo, ferrovieri
e colleghi di lavoro dell'imputato, i quali riferivano di non avere mai
ricevuto, da parte dei Tizio, offerte di materiale informatico.
Alla udienza del 8 giugno 2000 il pubblico ministero produceva, all'integrazione
del fascicolo per il dibatimento, quattro buste contenenti: una rubrica
telefonica, una "listato programmi" a modulo continuo e 142
schede, materiale tutto sequestrato presso l'abitazione dell'imputato;
quindi si procedeva all'esame del prevenuto.
Tizio, previa produzione di alcune fotocopie di licenze di programmi per
elaboratore (peraltro non riconducibili con certezza quelli di cui in
imputazione), respinge ogni addebito, ammetteva la materiale duplicazione
dei programmi informatici per i quali si procede, e sostanzialmente, giustificava
la sua condotta con la passione per l'informatica, dicendo:
a) di avere "scaricato" alcuni programmi da Internet;
b) di avere acquistato altri programmi unitamente a riviste specializzate
vendute in edicola;
c) di avere acquistato taluni programmi "in originale" di averli
poi duplicati a fine di conservazione e uso personale, talvolta gettando
via il software originale perché usurato.
L'imputato non era in grado di indicare, fra i modi di acquisto sopraindicati,
quello utilizzato per ogni singolo programma da lui posseduto.
Sulla base di queste
prove e degli atti contenuti nel fascicolo per il dibattimento (fra cui
verbali di perquisizione sequestro del 12 giugno '98) le parti concludevano
come riportato in epigrafe; il processo veniva quindi rinviato per consentire
al pubblico ministero un eventuale replica.
All'udienza del 13 luglio 2000 il giudice pronunciava sentenza.
2. All'esito dell'istruttoria
dibattimentale Tizio va assolto dal reato di cui al capo A) perché
il fatto non costituisce reato.
L'assoluzione si fonda sulla mancata prova della conoscenza circa la provenienza
delittuosa del software di cui alla rubrica; prima di enunciare le ragioni
poste a fondamento alla decisione, si impongono alcune considerazioni.
In buona sostanza Tizio è accusato di avere, in un primo tempo,
ricercato programmi informatici (capo a) della rubrica) e, in un secondo
tempo, di avere abusivamente duplicato gli stessi a fini di lucro (capo
b)).
E notorio che il reato di ricettazione ha come presupposto l'avvenuta
commissione di un delitto; nella fattispecie tale delitto presupposto
si assume essere quello di duplicazione abusiva degli stessi programmi
informatici (articolo 171 bis legge 633/1941) oggetto di ricettazione.
È pacifico in giurisprudenza (fra le molte Cassazione 4077 /1990)
che ai fini della configurazione del delitto di ricettazione non rileva
il mancato accertamento giudiziale del delitto presupposto ma è
sufficiente che, anche in base a prove logiche, il fatto della illecita
provenienza delle cose risulti positivamente al giudice chiamato a conoscere
della ricettazione.
Ora, nel caso in esame, l'istruttoria dibattimentale non ha fornito elementi
certi; a tutto concedere alla prospettazione dell'accusa e muovendo dalle
dichiarazioni rese dallo stesso imputato, si potrebbe ravvisare la presupposta
abusiva duplicazione in chi ad esempio ha messo a disposizione del pubblico,
sulla rete informatica Internet, le copie di programmi protetti dalla
legge sul diritto d'autore, poi, al loro volta "ricevute", tramite
computer dallo stesso Tizio. Questo fatto potrebbe probabilmente costituire
la condotta materiale della duplicazione abusiva, salvo necessari approfondimenti
in ordine all'esistenza del fine di lucro (richiesto dalla citata norma)
in capo all'autore del reato presupposto e cioè colui che ha messo
a disposizione del pubblico su Internet copie di programmi informatici.
Come è dato comprendere da queste considerazioni di indagine sul
punto si rivela piuttosto ardua e, in ogni caso, nella fattispecie nulla
è emerso.
Inoltre l'assenza di dati di fatto attinenti al fine di lucro si diverta
necessariamente sull'elemento soggettivo della ricettazione (conoscenza
della illecita provenienza dei programmi chiusa ): se non è provata
di liceità penale della condotta presupposta non volessi consapevolezza
di acquisire un bene di provenienza illecita.
In altre parole la condanna per ricettazione non può aver luogo,
se prima non è stato riconosciuto esistente, nei suoi elementi
essenziali, il delitto presupposto anche se di questo non sia stato accertato
l'autore.
Orbene, poiché nulla le indagini hanno appurato circa la provenienza
del software, si deve ritenere che l'acquisizione dei programmi informatici
avvenuta da parte del vizio tramite Internet ovvero nelle edicole di giornali,
come sostenuto dallo stesso.
Ora, si è già detto (sotto il profilo del fine di lucro,
quale reato presupposto) circa l'acquisizione tramite Internet; circa
gli acquisti presso l'edicola di giornali risulta assai difficile ritenere
che il vizio potesse essere in grado, per quanto appassionato di informatica,
per la sua cultura, per la natura del luogo di vendita, di comprendere
pienamente illecita provenienza (sotto il profilo della abusiva duplicazione,
quanto al reato presupposto) dei programmi di cui entrava in possesso
in ogni caso, se anche l'imputato avesse avuto dubbi in tal senso non
può ritenersi integrato il dolo della ricettazione che, per la
peculiarità della fattispecie, deve essere intenzionale (per la
incompatibilità del dolo eventuale con il delitto di ricettazione
si veda cassazione n. 3/1993).
L'imputato va dunque assolto.
Tizio va poi assolto,
ex articolo 530 secondo comma cpp, dal reato di cui al capo b) perché
il fatto non costituisce reato, non sussistendo prova adeguata dell'elemento
psichico (fine di lucro) dell'illecito penale in questione. Orbene il
legislatore con l'articolo 10 del decreto legislativo 29 dicembre '92
518 ha introdotto, in seno alla legge di protezione del diritto d'autore,
l'articolo 171 bis, così configurando una fattispecie dolo specifico;
il legislatore ha cioè richiesto l'elemento intenzionale del fine
di lucro per l'integrazione del reato.
Tale 'innesto normativo è del tutto razionale e in armonia con
altre norme (di natura civilistica) previste dalla stessa legge di protezione
del diritto d'autore, quali l'articolo 64 ter comma secondo (che prevede,
in particolari condizioni, la liceità della formazione di una copia
di riserva del programma informatico) e l'articolo 68 comma primo della
stessa legge (che consente la libera riproduzione di opere per uso personale),
dalle quali si ricava che il solo fatto della duplicazione non costituisce
condotta illecita.
Dunque occorre interrogarsi sul significato dei fini di lucro richiesto
dalla norma in questione.
Al riguardo due interpretazioni dell'articolo 171 bis citato sono state
proposte: secondo una certa interpretazione (Pretura Cagliari 26 novembre
1996) il "lucro" costituisce l'accrescimento positivo del patrimonio
a differenza del "profitto", più ampio concetto, che
include tanto l'accrescimento diretto del patrimonio quanto quello indiretto
che si verifica attraverso una mancata perdita patrimoniale; secondo l'altra
interpretazione (tribunale Torino 20 aprile 2000), il fine di lucro comprende
anche il profitto ritraibile dal risparmio di costi.
I due precedenti giurisprudenziali citati, peraltro, non si attagliano
perfettamente alla presente fattispecie, in quanto relativi a ipotizzare
illecite duplicazioni effettuate in ambito imprenditoriale, dove lo scopo
di lucro, cioè di guadagno inteso nel senso più ampio possibile,
risulta fisiologico e connaturato ad ogni attività (fatto, questo,
che rende preferibile la seconda delle interpretazioni di cui sopra).
Nel caso in esame, tuttavia, la condotta di duplicazione è stata
posta in essere da un privato (dipendente delle ferrovie) e la stessa
non è in alcun modo riconducibile alla sua attività lavorativa;
dunque non può ragionevolmente escludersi, almeno in astratto,
che l'attività di duplicazione sia stata realizzata non a fini
di lucro ma a fini personali per passione e interesse nel mondo dell'informatica.
Occorre dunque per accertare l'esistenza del fine di lucro, da intendere
in questo caso nel senso ristretto di immediato incremento patrimoniale,
vagliare gli elementi raccolti durante l'istruzione dibattimentale e verificare
se da essi si può desumere che il prevenuto ponesse in commercio
avesse contatti con possibili acquirenti per vendere il software di cui
alla rubrica.
Orbene, giocano a carico dell'imputato:
1) il "listato programmi un modulo continuo" (in altri termini
l'elenco dei programmi informatici) rinvenuto nell'abitazione di Tizio;
su di esso vi si legge anche il nome cognome dell'imputato e di numeri
di telefono (fisso e cellulare) dello stesso.
È agevole osservare come detto listato appare come una sorta di
catalogo di prodotti nella disponibilità dell'imputato;
2) il numero (oltre 100) il valore (circa lire 50 milioni) di programmi
rinvenuti;
3)l'amplia tipologia degli stessi programmi, da cui (come per i dati di
cui al punto 2) si può desumere la destinazione commerciale degli
stessi.
Del tutto insignificanti paiono invece, essere le 142 schede nominative
sequestrate; invero lo stesso imputato ha dichiarato di svolgere anche
attività di subagente assicurativo e le schede in questione si
riferiscono in maniera esplicita e creatività.
A favore dell'imputato, invece, gioca la decisiva circostanza che, tanto
dal materiale documentale quanto dalle dichiarazioni rese dai testi in
dibattimento, non è emersa prova alcuna di contatti con terze persone
di Tizio ai fini di cessione di materiale informatico.
Del resto il "listato programmi" di cui sopra. 1), al di là
delle generiche dichiarazioni dell'imputato circa la sua aspirazione a
diventare programmatore di computer, può anche essere considerato
come semplice attività prodromica dallo smercio; quanto ai punti
2) 3) dei suddetti elementi a carico, valga osservare come essi in relazione
a tutti gli elementi di giudizio raccolti, non appaiono sufficientemente
univoci perché non del tutto incompatibili con la passione per
l'informatica dello stesso Tizio.
L'imputato va, dunque, assolto anche di reato di cui al capo B) della
rubrica.
PQM
letto l'articolo 530 comma primo cpp
assolve Tizio dal reato di cui al capo a) della rubrica, perché
il fatto non costituisce reato;
letto l'articolo 530 comma secondo cpp,
assolve Tizio dal reato di cui al capo b) della rubrica perchè
il fatto non costituisce reato
letto l'articolo 262 c.p.p. , ordina il dissequestro e la restituzione
a Tizio di tutto il materiale in sequestro.
Sentenza del Tribunale
di Torino 20 aprile 2000
(prima dell'approvazione della Legge 18 agosto 2000, n. 248)
Il lucro del privato è solo nella vendita
Motivi della decisione
Tizio era tratto a giudizio per il reato ex articolo 81 capo verso cp
171 bis legge 633/41 con decreto 26 gennaio 1999 della giudice per le
indagini preliminari presso la pretura circondariale di Torino ha seguito
di dell'estiva opposizione, proposta il 22 gennaio 1999 ha perso il decreto
penale 10 novembre 1998 notificato il successivo 7 gennaio 1999, con cui
era stata irrogata al prevenuto, per l'illecito in esame, la pena di lire
6.900.000 di multa, parzialmente applicata in sostituzione di pena detentiva
con la non menzione. Cosa indicava successivamente, nei modi diritto,
il nominativo di alcuni testi e di due consulenti da esaminare su circostanze
specificamente enunciate, chiedendo autorizzarsene la citazione, assentita
dall'ufficio. Al dibattimento presenziava l'imputato ed era revocato l'opposto
decreto penale. In sede di esposizione introduttiva, previa integrazione
del fascicolo dibatimentale mediante inserzione del verbale di atti irripetibili,
pubblico ministero si richiamava alla contestazione e chiedeva l'esame
dei soggetti indicati in lista non che del prevenuto, offrendo le produzioni
dettagliate a verbale. La difesa, dal canto suo, e chiedeva anche essa
l'esame del proprio assistito, riservandosi il controesame dei soggetti
ex adverso indicati e offrendo la documentazione specificata a verbale.
Ammesse le prove si procedeva, anzitutto, all'audizione dei due consulenti
del pubblico ministero ingegneri Porta Roberto Vinardi Fabrizio, dopo
il cui esame era acquisita la relazione scritta dai medesimi stilata.
Erano poi sentì di i testi d'accusa Primo, Secondo, Terzo, Quarto,
Quinto, Sesto e Settimo, tutti i dipendenti della ditta zzz. A Primo,
Secondo e Sesto era contestato il difforme tenore di dichiarazioni rese
durante le indagini preliminari di cui verbali erano acquisiti agli atti
da ultimo era ascoltato l'ulteriore teste di accusa Todesco Gianfranco
appartenente alla sezione polizia giudiziaria procura della Repubblica
e operante accertamenti sui fatti di causa a questo punto il pubblico
ministero provvedeva ex Art. 516 cpp a modificare la contestazione originaria
conformemente al tenore riportato in epigrafe, la Difesa chiedeva termine,
spirato il quale, non risultando avanzate istanze istruttorie di sorta,
venivano indicati alle parti gli elementi che sarebbero stati utilizzati
per la decisione e le si invitava alla discussione.
In esito al pubblico, orale dibattimento uditi il pubblico ministero e
i difensori che hanno concluso come in epigrafe prescritto si osserva
quanto segue.
L'ipotesi d'accusa non è stata adeguatamente suffragata dall'istruttoria
dipinta. La contestazione originaria rilevata nei confronti del prevenuto
si fondava su una ricostruzione dei fatti i termini di immediata riconducibilità
allo stesso dell'attività di duplicazione a fini di lucro dei programmi
dettagliati nel decreto dispositivo del giudizio, siccome attuata dal
tizio, se non materialmente, in forza di sue direttive agli esecutori
materiali. Per inciso, rappresenta dato pacifico in causa, la veste di
amministratore unico della zzz attribuita all'odierno imputato nel decreto
dispositivo del giudizio, veste sicuramente compatibile con l'emanazione
di ordini direttive nei confronti dei dipendenti. Orbene, l'istruttoria
svolta ha confermato che effettivamente, in ambito aziendale, erano utilizzati
programmi abusivamente duplicati. Al riguardo basti, precipuamente, il
tenore del verbale di sequestro inserito ab origine nel fascicolo dibattimentale
non che le dichiarazioni dei testi e quelle dei consulenti della pubblica
accusa, reiterative in questa sede di quanto enunciato nella relazione
scritta appositamente stilata e acquisita agli atti. Risulta in particolare
dalla verbale di sequestro e presso i locali dell'impresa si rete via
1, fra l'altro, 140 floppy disk di varie capacità, un CD-ROM, due
altre liste numerose directory installate 13 personal computer. Su tali
supporti informatici venivano rinvenuti dai consulenti i programmi dettagliati
nella loro relazione scritta (con le precisazioni di cui alla relazione
aggiuntiva) per i quali impresa non fu in grado di esibire regolare licenze
o fattura d'acquisto. Taluni almeno di detti programmi risultarono, sulla
scorta dei dati estrapolabili, di frequente utilizzo e congrui rispetto
all'attività aziendale. Appare ovvio, alla luce della riscontrata
carenza di documentazione legittimante, che la disponibilità dei
programmi di cui si è detto derivava necessariamente da una duplicazione
non autorizzata dal titolare del relativo diritto. Sul piano oggettivo,
dunque, uno dei profili fattuali della contestazione risulta provato.
Viceversa non è stata provata in causa, nemmeno a seguito dell'audizione
dei numerosi dipendenti o ex dipendenti della zzz indicati come testi,
una diretta attivazione dell'imputato volta a pubblicare personalmente
o a disporre la duplicazione da parte dei sottoposti ovvero di terzi collaboratori
dei famosi programmi. . Non solo nessuno dei soggetti esaminati ha potuto
riferire di avere notato il prevenuto occuparsi direttamente di simili
incombenti o vero impartire istruzioni di sorta al riguardo, ma più
testi hanno dichiarato che in generale Tizio non si occupava affatto del
settore informatico latamente inteso, salvo non ricorressero peculiari
esigenze di approvvigionamento di supporti apprezzabilmente costose nel
qual caso lo si interpellava onde ottenere l'assenso alla spesa (cf stazione
quarto).
Osserva, d'altro canto, l'ufficio che lo spessore non esiguo della compagine
aziendale quale documentato dalle produzioni delle parti e l'incarico
di vertice dell'imputato rendevano per sè poco probabile una sua
personale ingerenza nella materiale attività di duplicazione abusiva,
mentre quanto all'emanazione di direttive verbali in proposito (dovendosi
ragionevolmente escludersi l'ipotesi di direttive scritte) essa non sarebbe
potuta sfuggire ai dipendenti esaminati come testi e sforniti soprattutto
quelli non più alle dipendenze della zzz di qualsiasi plausibile
movente per una falsa deposizione. Al dibattimento è emersa, come
si è visto, una situazione di scarsa strutturazione del servizio
relativo all'approvvigionamento del materiale informatico sia l'uso dello
stesso, tale per cui il personale a volta interessato si rivolgeva come
referenti ai colleghi o al diretto superiore o all'ufficio acquisti; solo
in casi eccezionali era coinvolto Tizio mentre, circa l'uso di supporti
informatici già esistenti in ditta, i dipendenti avevano normalmente
in dotazione dei PC ed era invalsa la prassi di prelevare direttamente
floppy disk sparpagliati i locali dell'impresa o quant'altro necessitasse
momentaneamente per il lavoro dei singoli, provvedendosi talvolta personalmente
all'installazione di particolari programmi sui cennati PC (cfr. dep. Primo,
Secondo, Terzo Quarto, Quinto).
Nessun controllo era operato in merito quale installazione, da parte dei
sottoposti, i programmi in loro possesso su di supporti informatici sindacati
mentre nei locali operavano dei consulenti esterni i quali, a loro volta,
ricavano plausibile mentre si con il materiale di cui necessitavano e
ivi lo utilizzavano seguendo, peraltro, anche di supporti loro riservati
dall'impresa (cf sul punto le circostanze di fatto evidenziare nella relazione
aggiuntiva dei consulenti del pubblico ministero, in cui si fa menzione
di una simile prassi, parzialmente accertata).
Sulla scorta dei costituti sunteggiati appare per nulla inverosimile che
il compendio incriminato fosse frutto dell'operato di soggetti diversi
dall'imputato e in assenza di specifiche direttive al riguardo tizio.
Ciò tanto più in quanto non è stato acquisito un
elemento tale da comprovare la finalità di una successiva commercializzazione
da parte della zzz, dei programmi duplicati giacenti in azienda. Proprio
in base a tali considerazioni della pubblica accusa ha provveduto a modificare,
in corso di dibattimento, la contestazione originaria abbandonando l'impostazione
iniziale che vedeva nella novella, come si è detto, l'autore materiale
delle abusive duplicazione (o comunque il soggetto propulsore in forma
diretta delle medesime mediante dire che ordini ai dipendenti) e abbracciando
viceversa la ricostruzione dell'operato di costui in termini di maliziosa
induzione in errore dei dipendenti stessi tramite la messa a disposizione
incontrollata di programmi vari finalizzata proprio a promuovere una inconsapevole
duplicazione abusiva di programmi stessi da parte degli ignari sottoposti
( beninteso nell'interesse aziendale) In tal modo va riguardata la menzione
dell'articolo 48 cp nella contestazione modificata il cui tenore, d'altro
canto, milita inequivocabilmnete nel senso dianzi prospettao. Per quel
che concerne la mancata prova di una divisata da negoziazione "esterna"
e i programmi abusivamente duplicati, il pubblico ministero ha invece
affermato come, a suo avviso, il fini di lucro postulato dalla norma incriminatrice
debba pur sempre ravvisarsi laddove tale pubblicazione, benché
non preordinata a fini di commercializzazione a soggetti terzi, trovi
motivo nel risparmio di costi che ne consegue per il suo autore, ovviamente
esonerato dall'acquisire in forme legittime la disponibilità di
sì fatti programmi. Al riguardo la pubblica accusa ha evidenziato
che nella specie programmi oggetto della riscontrata duplicazione erano
in larga misura utilizzabili e\o utilizzati per l'attività aziendale,
tanto che i propri consulenti avevano quantificato un approssimativo risparmio
di costi per quest'ultima, pari a circa dire 30 milioni. Proprio in conseguenza
di ciò sarebbe ravvisabile lo scopo di lucro e al contempo apparirebbe
suffragato il coinvolgimento di Tizio quale unico soggetto che per la
veste istituzionale aveva interesse alla duplicazione illecita.
Orbene, ritiene il giudicante che mentre possa recepirsi l'impostazione
dell'accusa quanto al significato della locuzione "scopo di lucro"
non sia invece emersa come anticipato, prova sufficiente della sussistenza
in capo a Tizio del peculiare elemento psichico necessario per l'integrazione
della fattispecie siccome descritta nel capo di imputazione con cui occorre
confrontarsi.
Quanto alla prima problematica non è in grado ritrarre un criterio
ermeneutico di natura generale in virtù del quale, nel nostro ordinamento
lo scopo di lucro sia identificabile sicuramente con la sola locupletazione
immediata e non anche con il profitto ritraibile da un risparmio di costi
siccome ordinariamente finalizzato, nell'ottica imprenditoriale, a diverse
forme di investimento. Laddove i fatti in discussione si verifichino in
ambito imprenditoriale e comportino un apprezzabile risparmio per l'imprenditore
sembra disagevole affermare che non sia soddisfatto il fisiologico scopo
di lucro che informa l'attività di quest'ultimo proprio in ragione
dell'elemento unificante che caratterizza la globale attività del
soggetto che opera economicamente nelle forme predette. Nè l'accezione
lessicale del vocabolo "lucro" fornisce la risposta caldeggiata
dalla difesa.
Disattesa pertanto la più radicale tisi difensiva va evidenziato,
circa l'elemento psichico del reato in discussione, che pur abbandonata
l'impostazione originaria di un coinvolgimento, per così dire,
immediato tizio (coinvolgimento sicuramente indimostrato, (come riconosciuto
dallo stesso organo dell'accusa) occorrerebbe pur sempre la prova di un
dolo diretto e intenzionale del prevenuto orientato a apprestare una situazione
di fatto incentivante all'abusiva duplicazione da parte dei sottoposti
in buona fede. Il delitto in esame è in vero un reato doloso, per
di più a dolo specifico, per cui anche il soggetto che inducendo
in errore l' agente materiale abbia cagionato l'integrazione del profilo
obiettivo dell'illecito occorrerebbe individuare lo stesso elemento psichico
(cf cassazione penale sezione sesta 26 giugno 1996 n. 6389, 10 gennaio
1996 n. 607). E ciò si aggiunge, appare tanto più significativo
nel presente caso, dove l'induzione in errore sarebbe il frutto come si
è visto di una maliziosa condotta di preordinazione da parte Tizio
e non di quella mera, accettazione del rischio che caratterizza il dolo
eventuale. È ben vero che la prova dell'elemento psichico del reato
riguardante l'atteggiarsi del foro interno dell'agente è una prova
precipuamente logica; ma nella specie non sussistono elementi univoci
da cui ritrarre l'appagante convinzione che Tizio sapesse della situazione
(la quale, secondo l'impostazione accusatoria, sarebbe addirittura stata
frutto di una capziosa predisposizione da parte sua o comunque di una
sua callida tolleranza) e intendesse sfruttarla a proprio favore. Si è
già detto che la veste dell'imputato, le dimensioni dell'impresa
e la sua strutturazione erano tali da non poterne far discendere l'inevitabile
consapevolezza in capo al prevenuto della situazione esistente (disponibilità
dettagliata di programmi per uno duplicazione abusiva). Tale consapevolezza,
come si è visto, neanche potrebbe farsi derivare in via logica
da specifici interventi riguardo di cui non vi è prova. In sostanza
dovrebbe ricondursi alla sola inerzia dell'imputato nel disciplinare la
gestione del servizio di approvvigionamento e uso di supporti informatici
e al vantaggio (peraltro economicamente contenuto) derivante all'impresa
dall'utilizzo ad opera dei dipendenti di programmi abusivamente duplicati,
la prova circa l'originario perseguimento da parte di tizio degli scoppi
anzidetti. Siffatta ricostruzione appare però sfornita di adeguato
supporto sol che si consideri, ad esempio, come l'elemento indiziario
rappresentato dall'utilità per l'impresa discendente da risparmio
di costi non sia punto univoco. Anche altri soggetti, segnatamente il
dipendenti e i collaboratori esterni ben potevano ritrarre una personale
utilità dall' eventuale attività di duplicazione abusiva,
non foss'altro che per la razionalizzazione dei rispettivi lavori. Nè
sembra che deriva di rilievo a circostanza, già evidenziata, che
non tutti programmi abusivamente duplicati erano utilizzabili e/o utilizzati
per l'attività della zzz, potendo farsi discendere proprio da ciò
considerazioni sul piano logico circa l'estraneità della compagine
-e del suo amministratore- alle iniziative concernenti la duplicazione
abusiva ovvero a una consapevole tolleranza riguardo alla formazione di
un "archivio" di programmi duplicati.
Si badi, da ultimo, che la natura comune e non propria del reato di cui
si discute impedisce di addebitare all'imputato una responsabilità
penale derivante da una posizione di garanzia in merito all'osservanza
ad opera dei sottoposti della normativa in materia e comunque laddove
pur egli fosse stato onerato da una simile responsabilità, l'omesso
controllo non equivarrebbe per sé solo ad una manifestazione di
quel dolo intenzionale postulato dalla norma incriminatrice.
In sostanza difettando prova adeguata dell'elemento psichico dell'illecito
in oggetto, Tizio va assolto ex articolo 530 comma secondo cpp perché
il fatto non costituisce reato
PQM
visto l'articolo 530 cpp assolve l'imputato dall'addebito ascrittogli
perchè il fatto non costituisce reato
Torino 20 aprile 2000
Pretura di Cagliari
Sentenza del 3 dicembre 1996
(prima dell'approvazione
della Legge 18 agosto 2000, n. 248)
L'art. 171 - bis non
è applicabile alla duplicazione di software effettuata per risparmiare
sui costi aziendali
Il 16 settembre 1996 personale del Nucleo Regionale di Polizia Tributaria
della Guardia di Finanza si recò in via _______________, presso
__________________________________________.
I verbalizzanti trovarono che la società utilizzava per lo svolgimento
della propria attività commerciale (relativa, come si evince dal
verbale, ad accertamenti catastali) tre personal computer: un Athena pentium
90, un Datastar 486, uno Staver 386. Essi accertarono altresi', mediante
l'uso del programma d'intercettazione Spaudit, che su tutti i personal
era stato caricato il programma OFFICE della Microsoft (contenente i programmi
Word, Excel, PowerPoint, Scbedule e Access) nonostante __________ fosse
in possesso di una sola licenza d'uso relativa al programma OFFICE montato
sul computer Athena. Da ciò gli agenti dedussero che il programma
era stato duplicato e caricato, a loro avviso illecitamente, sui computers
Datastar e Staver e procedettero al sequestro del software contenuto nella
memoria rigida delle ultime due macchine sul presupposto che la duplicazione
del programma da parte del_________ costituisse violazione della norma
di cui all'art. 171 bis della legge 22-4-1941.
In data 8 novembre 1996 il P.M. presso questa Pretura, competente per
il reato indicato, chiedeva la fissazione di un'udienza camerale per l'applicazione
di pena concordata con l'indagat_.
Si ritiene doveroso rilevare che, sulla scorta degli atti allegati alla
richiesta, dev'essere pronunciata immediatamente, ex art. 129c.p.p., sentenza
di assoluzione del_______ poichè il fatto contestato_ non costituisce
reato per mancanza del fine di lucro richiesto nella fattispecie in esame
per la punibilità della condotta tenuta dal____________.
L'articolo 171 bis della legge sul diritto d'autore è stato introdotto
con l'art.10 del decreto legislativo del 29 dicembre 1992, emanato in
attuazione della Direttiva 91/250/CEE. Tale normativa (in particolare
l'articolo 1 del decreto citato) ha riconosciuto, ai programmi per elaboratore
il valore di opere letterarie ed artistiche e la conseguente meritevolezza
della tutela offerta dalla Legge n°633 del 1941.
Non è questa la sede appropriata per soffermarsi a riflettere sulla
scelta operata dal Legislatore Italiano (uniforme d'altro canto a "quella
di numerosissimi altri Stati), preceduta comunque da una oramai consolidata
giurisprudenza di legittimità e, in parte, dei giudici di merito
univoche nel riconoscere ai programmi per elaboratore lo status di opera
dell'ingegno, e ad apprestarne la conseguente tutela (per tutte si richiamano:
Pretura Pisa 11 -4- 1984 e Corte di Cassazione, terza sezione, 24-11-1986).
Si appalesa peraltro la necessità di soffermarsi sugli aspetti
penalistici della norma incriminatrice.
L'articolo 171 bis citato evidenzia, al pari delle fattispecie individuate
dall'articolo 171, una chiara finalità sanzionatoria, di ulteriore
tutela dell'opera dell'ingegno già dettagliatamente regolamentata
dalle norme privatistiche. Con la sanzione penale si cristallizzano e
si ribadiscono i valori già attribuiti dall'ordinamento alle opere
dell'ingegno ed ai diritti su di esse spettanti ai Loro autori.
L'articolo in questione ha la marcata finalità di garantire al
titolare del programma i vantaggi economici che derivano dalla sua commercializzazione
in contrasto netto e conflittuale con il diffuso fenomeno del commercio
clandestino di programmi duplicati e contraffatti (il cosiddetto campo
dei computer crimes).
La struttura della norma è composita e volta ad individuare in
modo analitico le diverse condotte punibili. Si tratta con tutta evidenza
di norma a più fattispecie o norma mista cumulativa, che prevede
differenti condotte materiali punibili. L'articolo 171 bis individua le
condotte sanzionabili nel duplicare programmi a scopo di lucro o (sapendo
o avendo motivo di sapere che si tratta di copie illecitamente riprodotte)
nell'importare, distribuire, detenere a scopo commerciale, nel concedere
in locazione programmi o strumenti atti ad eludere i locks ossia i sistemi
di protezione degli stessi software.
Appare utile ad un inquadramento generale della norma porre in luce che
le condotte consistenti nel duplicare i Programmi a fine di lucro e nel
detenere programmi abusivamente riprodotti a scopo commerciale costituiscono
con certezza, sotto il profilo della condotta, un'anticipazione del momento
consumativo del reato rispetto alle altre fattispecie individuate (importazione,
vendita, distribuzione e locazione) esse sono in realtà inquadrabili
come reati di pericolo, senza danno effettivo per il legittimo proprietario-
produttore dell'opera e presentano dalle condotte di per sé non
offensive in concreto degli interessi tutelati dalla norma. La duplicazione
e la detenzione acquistano rilievo penale in tanto in quanto siano finalizzate
rispettivamente al lucro ed alla commercializzazione. Tali condotte sono
pertanto sanzionate solo se sorrette dal dolo specifico indicato. In particolare
deve ritenersi che, di per se, la duplicazione del programma non solo
non assurge in alcun modo a fatto penalmente rilevante, ma è senza
dubbio consentita dalla normativa attuale in tema di diritto d'autore.
Ciò si ricava in primo luogo dall'art. 5 D.1.GS. n° 518/92
che, nell'introdurre l'art. 64 ter della L. n°633/1941, al secondo
comma dello stesso non consente che si imponga al compratore il divieto
di effettuare una copia di riserva del programma stesso. Ma ancor meglio
si evince dall'articolo 68 della L 633/1941 che permette, ed anzi indica
come libera la riproduzione di singole opere o loro parti per uso personale
dei lettori (rectius fruitori) con il limite del divieto di spaccio al
pubblico di tali beni onde logicamente evitare la lesione dei diritti
di utilizzazione economica spettanti al titolare del diritto sul l'opera
Si può pertanto escludere che violi la fattispecie citata il soggetto,
pubblico o privato che detenga per utilizzarla una copia abusivamente
duplicata del programma L'elemento che rende invece penalmente illecita
la duplicazione è dato dal fine di lucro, dalla volontà
diretta specificamente a lucrare dalla riproduzione. Deve infatti garantirsi
al titolare dei diritti sull'opera il vantaggio esclusivo di mettere in
commercio il programma, e quindi di lucrarvi (articolo 17 Legge sul diritto
d'autore) senza dover patire e subire danni da illecite concorrenze.
Invero il fine di lucro connota tutte le fattispecie focalizzate dall'art.
171 bis, ma il suo significato dev'essere chiarito.Il termine lucro indica
esclusivamente un guadagno patrimoniale ossia un accrescimento patrimoniale
consistente nell'acquisizione di uno o piu' beni; esso non coincide in
linea di principio con il termine profitto, che ha un significato ben
più' ampio. Il profitto può implicare sia il lucro: quindi
l'accrescimento effettivo della sfera patrimoniale, che la mancata perdita
patrimoniale ossia il depauperamento dei beni di un soggetto. In altri
termini nel profitto può rientrare anche la mancata spesa che un
soggetto dovrebbe, per ipotesi, affrontare per ottenere un bene. Il lucro
costituisce solo ed esclusivamente l'accrescimento positivo del patrimonio;
il profitto anche la sola non diminuzione dello stesso.
Alla luce di quanto riportato si può concludere sostenendo che
_________, che svolgeva attività relativa ad accertamenti catastali
su immobili (come si legge dal verbale che indica che nella sua banca
dati v'erano migliaia di visure catastali) nel duplicare le copie del
programma OFFICE della Microsoft e con l'utilizzarle esclusivamente per
la sua attività non era mossa da fini di lucro, ma eventualmente
di profitto, consistente nell'evitare la spesa necessaria ad acquistare
le altre due copie del programma e pertanto non ha violato la fattispecie
contenuta nella norma incriminatrice, perché nella condotta dalla
stessa tenuta non è ravvisabile il fine di lucro.
_________ dev'essere assolt_ perchè il fatto non costituisce reato,
ferma restando la sua responsabilità sotto altri profili diversi
da quello penalistico.
P.Q.M.
Visti gli articoli 171 bis L.n°633/1941 , 129 c p p assolve _______________
dal reato ascritto_ perchè il fatto non costituisce reato.
|