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IL
CASO INTEL VS. HAMIDI
a
cura di Annamaria Galeone
In
tema di spamming e libertà di manifestazione
del pensiero attraverso la posta elettronica, negli
Stati Uniti ha suscitato grande interesse e qualche
polemica il caso Intel vs. Hamidi.
Recentemente a Palo Alto (California) è stata
considerata spamming l'azione di un soggetto, esattamente
un dipendente licenziato dalla Intel, che ha sommerso
di e.mails i suoi ex colleghi utilizzando le liste
della società dove lavorava.
K.K. Hamidi è stato condannato, per aver commesso
questa azione, sia in primo grado che dalla Corte
d'Appello di Sacramento. I giudici americani hanno
equiparato tale condotta ad una violazione di domicilio,
produttiva di ingenti danni economici: infatti, la
Intel ha dimostrato che lo spamming dell'ex dipendente
ha causato notevoli perdite alla società, derivanti
sia dalla spedizione delle emails sia dal tempo sottratto
ai colleghi. E' stata così sancita la responsabilità,
ai fini del risarcimento del danno, a carico di un
soggetto che adoperi per attività di spamming
le liste della società presso cui era stato
impiegato.
Questa decisione è stata accolta con favore
dalle organizzazioni antispam, ma appare eccessiva
alla luce dei principi in materia di libertà
di espressione
Giusta punizione per lo spamming
o compressione della libertà di manifestazione
del pensiero - via posta elettronica?
La
storia
Kourosh "Ken" Hamidi era un assistente tecnico
dell'Intel. Questa è la sua versione degli
avvenimenti che avrebbero dato luogo all'allontanamento
dalla società: nel 1990, a seguito di un incidente
automobilistico, cominciò ad avere problemi
alla schiena. Anche se continuava a svolgere il suo
lavoro presso la Intel, lo stesso era costratto a
prendere un medicinale molto forte per combattere
il dolore (il Vicodan) e diventava quindi meno produttivo.
Gli veniva così dato un periodo di permesso
malattia nel 1992, per licenziarlo poi in tronco nel
1995. Non sono molto chiari i motivi del licenziamento:
secondo la Intel un permesso malattia molto lungo,
secondo Hamidi le sue proteste alle politiche laboristiche
della società.
Poco tempo dopo, Hamidi iniziava una vera e propria
campagna anti-Intel, fondando un gruppo attivista
e creando un sito web interamente a tema (www.faceintel.com).
Dal mese di dicembre 1996, cominciava a trasmettere
e.mails contro la Intel a circa 35000 ex colleghi,
utilizzando il loro account di posta elettronica lavorativo.
La società inizialmente gli chiedeva di fermare
la spedizione delle e.mails, e provava a bloccarle
attraverso dei filtri. Infine, lo citava in giudizio,
accusandolo di introdursi abusivamente nel sistema
di elaborazione di sua proprietà e di disturbare
il lavoro degli impiegati, provocandole così
notevoli danni economici.
Il Giudice Lewis, con ordinanza ingiunzione del giugno
1999 (emessa a seguito di giudizio sommario), vietava
ad Hamidi di trasmettere e.mails non sollecitate agli
indirizzi dei dipendenti Intel, attraverso i sistemi
di elaborazione della società. Hamidi impugnava
la decisione di primo grado, che veniva però
confermata dalla Corte d'Appello di Sacramento con
sentenza del dicembre 2001. In particolare, la Corte
riteneva che fosse stata provata da parte della Intel
la circostanza che Hamidi avesse usato abusivamente
i suoi beni mobili ("Intel proved Hamidi trespassed
to its chattels").
Il
diritto di proprietà in internet
Charles Nesson, professore di Harvard ed esperto di
cyber-law, ha affermato che "Il caso Intel Corp.
v. Hamidi è un caso importante che potrebbe
avere un effetto di lunga durata sul rapporto tra
libertà di espressione e diritto di proprietà
in internet".
La Intel sosteneva che le e.mails spedite da Hamidi
costituivano una lesione del suo diritto di proprietà,
in quanto lo stesso, per inoltrarle agli impiegati,
si era introdotto abusivamente nel sistema di elaborazione
dati interno. Rilevava inoltre di non aver reso pubblica
la lista degli indirizzi e.mail dei suoi dipendenti.
Le spedizioni di Hamidi sarebbero quindi state analoghe
ad una violazione di domicilio - come se un estraneo
avesse fatto un passo sulle proprietà dell'azienda
e avesse portato un messaggio ad ogni dipendente,
usandone i mezzi.
La tesi prospettata dai legali della società
qualificava dunque le azioni contestate ad Hamidi
come uso non autorizzato di un sistema informatico
di proprietà privata. In particolare, secondo
tale costruzione, non rilevava il fatto che tale sistema
fosse connesso in rete e fosse possibile accedervi
attraverso internet. Anche se l'introduzione nel sistema
con questa modalità era immateriale, ciò
non diminuiva i diritti della Intel sui beni mobili
di sua proprietà. L'azione di usare il sistema
interno della Intel per i suoi scopi personali, avrebbe
così integrato da parte di Hamidi una violazione
della legge sui beni mobili e provocato dei danni
alla società, consistenti nella diminuzione
di valore del sistema di elaborazione dati.
Dall'altra parte, Hamidi ha dichiarato che la sua
azione non può essere considerata illegale,
in quanto internet è un "dominio pubblico"
attraverso il quale è costituzionalmente garantito
il libero flusso delle informazioni: come non potrebbe
essere considerato lesivo di un diritto di proprietà
il passaggio su una strada pubblica, così la
trasmissione di informazioni attraverso internet non
potrebbe integrare la lesione di un diritto esclusivo
di proprietà (NOTA 1).
Hamidi è stato coadiuvato, nel corso del processo,
dall'Unione Civile Americana per le Libertà,
dall'EFF (Electronic Frountier Foundation), e dal
"Berkman Center for Internet and Society"
della scuola di diritto dell'Università di
Harvard. La tesi sostenuta in appello, esposta nel
"riassunto" presentato dall'EFF, si fondava
sull'assunto che internet - come i libri e i giornali
- rientrerebbe nell'ambito di tutela del primo emendamento
della Costituzione degli Stati Uniti. La e.mail è
un mezzo di comunicazione attraverso la rete, quindi
- in quanto espressione e manifestazione del pensiero
- dovrebbe essere costituzionalmente garantita e protetta
dal primo emendamento, e tale principio non potrebbe
essere superato da una legge a tutela del diritto
di proprietà.
Libertà
di espressione o spamming?
La massiccia spedizione delle e.mails a contenuto
anti-Intel, da parte dell'ex dipendente, era stata
descritta da parte dei legali della società
come una forma di spamming.
Si sosteneva infatti che la Intel era stata danneggiata
non tanto dai contenuti delle e.mails (presenti anche
nel sito "face intel") quanto dagli inconvenienti
che le stesse avevano causato, in particolare disturbando
gli impiegati e facendo loro perdere del tempo lavorativo,
che era stato calcolato equivalente a quasi mille
ore di lavoro produttivo sottratto alla società
per ogni e.mail.
La Corte d'Appello di Sacramento ha accolto questa
ricostruzione, qualificando l'azione di Hamidi come
spamming, e ritenendo sussistenti i danni economici
lamentati.
Non è stata considerata rilevante ai fini del
giudizio la circostanza che le e.mails non avevano
un contenuto commerciale, ma informativo-educativo.
Lo scopo di Hamidi era infatti quello di rendere note
ai dipendenti, attraverso tali comunicazioni, le politiche
laboristiche della Intel, insegnando agli stessi come
difendersi da eventuali abusi (NOTA 2).
Tale aspetto era stato evidenziato da Yochai Benkler,
professore dell'Università di New York esperto
in diritto delle comunicazioni, il quale si era dichiarato
infastidito dal fatto che nel caso Intel vs. Hamidi
un diritto di proprietà virtuale era prevalso
sul primo emendamento ("A case of spam and free
speech at Intel" - New York Times - December
11, 1998 ).
Secondo Benkler, collegando il suo sistema informatico
ad internet, la società si sarebbe unita ad
una rete di comunicazione pubblica, quindi non dovrebbe
essere consentito ad una Corte di "far tacere
gli altoparlanti" (NOTA 3). Internet rappresenta
infatti uno strumento molto potente per la democrazia,
che dà a chi non potrebbe permetterselo la
capacità di far sentire le sue ragioni.
Lo studioso ha inoltre rilevato che fino ad allora
le cause contro lo spamming riguardavano tipicamente
i messaggi commerciali: la differenza sostanziale,
nel caso in oggetto, era che i messaggi non contenevano
pubblicità, ma idee. Quindi, la Corte avrebbe
dovuto tutelare maggiormente Hamidi.
Sembrerebbe invece che sul diritto di questo soggetto
a manifestare la propria opinione in merito alle politiche
di impiego della Intel, usando il mezzo della posta
elettronica per comunicare il suo punto di vista,
siano prevalsi gli interessi della grande e potente
corporazione americana.
Conclusioni
Questo caso potrebbe creare un precedente importante,
allargando il significato della nozione di spamming
anche alla spedizione di e.mails non sollecitate a
contenuto non commerciale. Potrebbe però rappresentare
anche un precedente contrario alla filosofia di internet
e ai principi costituzionali in materia di libertà,
in quanto indubbiamente, con l'orientamento espresso
nella decisione di appello, la giustizia americana
ha stabilito delle limitazioni alla libertà
di pensiero, vietando a K.K. Hamidi di manifestare
e comunicare le proprie opinioni attraverso la posta
elettronica.
Per leggere la decisione di appello vai a:
http://www.eff.org/Cases/Intel_v_Hamidi/20011211_appellate_decision.html
Per
leggere il testo integrale delle dichiarazioni di
Hamidi e degli atti processuali visita i siti: www.intelhamidi.com
e www.faceintel.com
NOTE
(1) Free flow of information and communication on
the Internet is fully guaranteed by United States
constitution. Intel cannot write the constitution
for Cyberspace. The Internet is a public domain and
delivery of a public speech to the public on this
public ground is 100% legal and constitutional. As
no one can claim trespass on any part of a public
highway, Intel can not claim trespass on the Internet,
which is an information superhighway.
(2) My e-mail messages to Intel employees have always
been what I believe to be educational, informational,
and a true and accurate assessment of faults and shortcomings
in Intel's Human Resources policies and practices.
(3) By agreeing to connect to the Internet, Benkler
argued, Intel joined a sort of public network and
should not, therefore, be allowed by a court to silence
speakers on it. "With Hamidi, you have here a
pamphleteer," Benkler said. "Maybe he's
even offensive to some people. But he is a person
with a political agenda of reaching a large constituency,
the employees of Intel. This is what we would hope
for with the Internet. Let them decide if he's a weirdo
or someone to listen to." (December 11, 1998
- New York Times - "A case of spam and free speech
at Intel"
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