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IL LINK COSTITUISCE PUBBLICITA'
Commento
alle recenti pronunce dell'Autorità Garante della
Concorrenza e del Mercato sulla legittimità di alcuni
messaggi pubblicitari diffusi sul web.
di Ernesto Belisario
Non
è una scoperta che Internet sia uno strepitoso veicolo
pubblicitario. Tuttavia, come già ribadito in passato,
l'advertising on line è tanto formidabile nelle potenzialità
quanto carico di problemi dal punto di vista giuridico.
In merito l'Autorità Garante della concorrenza e del
mercato, cui compete istituzionalmente la vigilanza
nel settore pubblicitario, ha sempre ribadito come la
pubblicità on line debba rispettare le stesse regole
e gli stessi principi che disciplinano la pubblicità
tradizionale. Di recente l'Autorità ha ribadito tale
principio con le condanne inflitte ad una serie di messaggi
apparsi sulla rete attraverso dei link ipertestuali;
tra questi i messaggi diffusi da alcuni dei più noti
operatori di telecomunicazioni come Kataweb, Infostrada,
Tiscali, Wind e Libero.
L'Autorità è intervenuta sui messaggi in questione a
seguito di segnalazione del Codacons. I messaggi denunciati
erano composti da un link dal quale si accedeva ad una
pagina web contenente il modulo di registrazione e le
condizioni generali di contratto. Tuttavia mentre i
link facevano riferimento alla gratuità del servizio
di cui si proponeva l'abbonamento (es. "Abbonati ora
è gratis", "internet gratis"), le condizioni di contratto
prevedevano, a carico del cliente, una serie di oneri
"passivi" non economici, quali l'obbligo di ricezione
di e-mail pubblicitarie e la profilazione commerciale.
Le condanne dei suddetti messaggi presentano un interessante
spunto di riflessione sotto il profilo dell'estensione
del concetto di messaggio pubblicitario (art. 2 d. lgs.
74/92) alle innovazioni tecnologiche più avanzate fino
a ricomprendervi anche i link (ovvero i collegamenti
che consentono all'utente Internet di spostarsi da un
documento all'altro dell'immensa ragnatela ipertestuale
costituita dal Web).
L'Autorità è infatti pervenuta alla condivisibile conclusione
per cui, in considerazione del mezzo di diffusione e
dei messaggi in esame, sia i link ipertestuali che le
pagine ad essi collegati configuravano un unico messaggio
pubblicitario quantunque articolato su più schermate.
Questa interpretazione della norma è dettata dalla necessità
di tutelare i consumatori dalle trovate tecnologiche
e grafiche che le nuove tecnologie mettono a disposizione
degli operatori pubblicitari.
Una volta ritenuto che link e pagina web ad esso collegata
costituiscono un messaggio pubblicitario, l'Autorità
ne ha vagliato la corrispondenza alla disciplina legislativa
in materia di pubblicità ingannevole. In particolar
modo l'attenzione dell'Autorità si è concentrata sulle
condizioni generali di contratto predisposte dai fornitori
del servizio offerto. Da un attento esame delle clausole
contrattuali è emerso che erano previsti a carico del
cliente oneri passivi non economici come l'obbligo di
ricezione di e-mail pubblicitarie e il consenso alla
profilazione commerciale. L'Autorità ha in merito rilevato
che tali oneri possono essere ritenuti come vere e proprie
prestazioni passive. L'ordinamento, infatti, riconosce
al consumatore il diritto di non essere destinatario
di comunicazioni d'impresa veicolate attraverso alcune
tecniche di comunicazione a distanza. (d.lgs. 185/99
art. 10, I co.). Tale diritto è però disponibile . L'autorità
ha quindi ritenuto tali messaggi come ingannevoli dal
momento che gli operatori subordinavano la prestazione
di un servizio qualificato come gratuito all'atto di
disposizione di questo diritto. Tale prestazione, infatti,
non può non influenzare la valutazione del consumatore
sulla convenienza economica dell'offerta.
In particolar modo a fronte delle proposte contenute
nei messaggi, considerata la loro apparente particolare
convenienza, il consumatore avrebbe potuto essere indotto
a non attivare ulteriori ricerche ovvero a interrompere
quelle avviate per rendersi conto, solo in un momento
successivo, dei reali contenuti dell'offerta.
L'Autorità ha quindi ritenuto che i messaggi in esame
non rispettavano il generale principio di trasparenza,
completezza e immediatezza dell'informazione accessibile
al consumatore. Si tratta di un principio caro all'Autorità.
Secondo un orientamento più volte espresso, non ogni
omissione informativa acquisisce rilevanza ai fini del
giudizio di ingannevolezza del messaggio segnalato.
Occorre infatti valutare di volta in volta se la lamentata
omissione sia tale da limitare significativamente la
portata delle affermazioni in esso riportata, inducendo
in errore i destinatari dell'offerta in ordine all'effettiva
convenienza economica della stessa.
I messaggi condannati erano infatti mancanti di elementi
in grado di far comprendere subito ai consumatori l'esistenza
di una vera e propria prestazione passiva. La circostanza
che le specifiche ed onerose condizioni di fruibilità
dell'offerta fossero sottaciute nei messaggi (che invece
si diffondevano sugli aspetti più appetibili delle offerte)
risultavano dunque idonee ad indurre i consumatori in
errore, pregiudicandone indebitamente il comportamento
economico.
L'idoneità ingannatoria non poteva essere esclusa neanche
dal fatto che il consumatore avesse la possibilità di
accedere al testo integrale delle condizioni di contratto
proprio perché gli operatori non avevano rispettato
l'onere di completezza e chiarezza da parte dell'operatore
pubblicitario.
L'importanza di queste pronunce va ben al di là dei
singoli casi concreti; le condanne esaminate, ponendosi
nel solco di altri analoghi provvedimenti dell'Autorità
(PI 2788 dell'1.6.2000 e PI 2671 del 6.3.2000) formano
un vero e proprio filone in base al quale, anche su
Internet, l'operatore pubblicitario deve informare fin
dal primo contatto quali siano e in cosa consistano
gli oneri previsti in capo al consumatore.
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